lunedì 27 settembre 2010

primo round congressuale fiorentino: -1 a -1

Fra Naldoni e Mecacci un "bel" meno 1 a meno 1.
Il primo round del match congressuale del Pd metropolitano di Firenze, purtroppo combattuto a suon di intervistine sui quotidiani invece che attraverso pubblici dibattiti in cui gli iscritti possano vagliare le capacità dei contendenti, ha visto Simone Naldoni e Patrizio Mecacci finire in parità negativa secondo il mio metro di giudizio.
Dopo aver letto l'Unità Toscana del 26 settembre, assegno loro infatti il punteggio di -1 a -1.
Naldoni ha perso un punto ai miei occhi per aver detto che Mecacci non è una faccia nuova ma anzi già esperto, tirandosi così la zappa sui piedi e contraddicendo chi come me ne metteva in dubbio la nomina proprio sul piano dell'insufficiente esperienza e autorevolezza. Resto, comunque, di quest'ultima opinione e penso che Mecacci rischia di essere ancor più di altri possibili esponenti del partito, per ragioni anagrafiche, il pupazzo di qualche caminetto oscuro ai più. Certo se il suo avversario Naldoni fa di questi autogol non è che prometta molto meglio.
A Mecacci, invece, tolgo un punto perché ha sostenuto che bisogna abbassare il limite dei mandati parlamentari consentiti ai membri del Pd a due. Perfetto, così avremo tutti rappresentanti inesperti che si faranno infinocchiare quotidianamente da quelli dello schieramento avversario.
Davvero un bell'inizio, non c'è che dire.
Al prossimo faccia a faccia cartaceo!

Lorenzo Sandiford

venerdì 10 settembre 2010

quali primarie per presidenti di governi e giunte

Primarie di coalizione con la possibilità di più candidati del Pd e confronto fra rose di 2-5 elementi dei futuri governi o giunte. Mentre nei contesti in cui il Pd può correre da solo due possibilità a disposizione: i) la candidatura del segretario del Pd oppure ii) primarie aperte anche ai simpatizzanti.

E' la proposta di modifica dello Statuto del Pd che lancio in relazione alle modalità di scelta dei candidati alla guida degli esecutivi dei diversi livelli territoriali: candidati a presidente del consiglio, presidente di Regione o di Provincia e Sindaco.
Con la caduta nei numeri della vocazione maggioritaria generalizzata del Pd, il modello pensato da Veltroni con il segretario - candidato premier naturale (e con un governo ombra ecc. ecc.) è andato in frantumi. E' stranamente rimasta però, nonostante il tanto parlare dei bersaniani dell'obiettivo di un partito solido, propositivo e non succube degli amministratori-governanti, una impostazione contraria a tale obiettivo, sia con il sostegno alla candidatura naturale dei segretari sia di fatto non facendo nulla per allargare la platea degli iscritti (e un partito che non cerca nuovi iscritti, magari per paura di sconvolgere gli attuali equilibri di forze, non ha grandi prospettive, secondo me).

Questa situazione anomala può essere risolta con una correzione dello Statuto tale da prevedere le seguenti due modalità di selezione dei candidati premier (o presidenti o sindaci):

1) nei contesti "a vocazione maggioritaria", cioè dove il Pd può presentarsi alle elezioni davvero da solo, ci sono due possibilità: il candidato premier può essere (a seconda della situazione e in base a quanto deciso dall'assemblea dei delegati) o (i) il segretario del Pd del livello territoriale corrispondente oppure (ii) la persona scelta tramite primarie di partito con più candidati aperte ai simpatizzanti.
Il presupposto è però che i segretari dei vari livelli territoriali siano scelti con congressi molto più trasparenti e intelligenti di quelle attuali, perché se per caso fossero scelti come sembra dai giornali stia succedendo adesso a Firenze si rischierebbe addirittura di perdere le elezioni con un segretario candidato di quel tipo;

2) nei contesti in cui sono necessarie alleanze elettorali con altri partiti, invece, il candidato non può essere che scelto attraverso primarie di coalizione aperte ai simpatizzanti. E queste primarie di coalizione, per non trasformarsi in meccanismi sfascia coalizione, andrebbero fatte nel seguente modo: 2.a) si votano non solo i candidati presidenti, ma dei ticket di 2-5 elementi del futuro esecutivo (presidente, vicepresidente, e qualche ministro/assessore caratterizzante); 2.b) il candidato presidente non deve essere per forza il leader di un partito e anzi ci possono essere più candidati per ogni partito (ovviamente la cosa riguarderà, eventualmente, di fatto solo il partito maggiore).
Inutile dire che questa soluzione 2 non potrebbe essere però scritta nello statuto, se non al massimo come impegno a proporla agli alleati, perché dipenderà anche dalla volontà di costoro.
Primarie di coalizione fatte in questo modo hanno due vantaggi: x) consentono alla gente di scegliere anche una fetta consistente dell'esecutivo; y) non dovrebbero provocare lacerazioni perché condurrebbero ad alleanze interpartitiche.

Lorenzo Sandiford

martedì 7 settembre 2010

querelle Civati-Renzi vs. Bersani-Rossi: con chi mi schiererò

Ceteris paribus, fra Civati-Renzi e Bersani-Rossi, al momento opportuno, mi schiererò con chi mi offre una ricetta più sostanziosa e credibile sul piatto della democrazia interna.
L'ho già scritto anche su questo poco usato blog e lo ripeto: la considero una questione fondamentale per il centrosinistra italiano.
Anzi, proprio per questo, la specificazione "a parità di altre condizioni" è fin troppo prudenziale. Potrei sacrificare sull'altare di tale passaggio democratico interno anche qualche pezzetto di programma, che so, un po' di ambientalismo o di libertarismo o di gradualismo riformatore o di proporzionalità fiscale o di promozione del merito.
Naturalmente, senza esagerare. Se, faccio un esempio paradossale, Pierluigi Bersani ed Enrico Rossi mi garantissero più democrazia interna, ma progettassero di trasformare la Toscana in un'unica grande area metropolitana senza campagne, cementificando tutta la Maremma e la Val d'Orcia, ovviamente sarei costretto ad accantonare per un po' la battaglia per la democrazia interna e schierarmi con gli altri. Oppure, se Giuseppe Civati e Matteo Renzi mi offrissero proposte di modifiche statutarie più convincenti per aprire le porte agli iscritti non cooptati, ma il secondo dei due mi volesse scavare sotto il centro storico di Firenze per farci passare una metropolitana, allora per forza di cose dovrei stare con i suoi oppositori.

Chiarito questo, con chi finirò per schierarmi? Se proprio fossi obbligato a scommettere, punterei sulla coppia Civati-Renzi.
Non tanto perché è Renzi ad aver coniato (o per lo meno divulgato) il termine Pdpd (Partito democratico per davvero). Finora, infatti, allo slogan non è seguita nessuna elaborazione di regole statutarie ad hoc e nemmeno di analisi sulla forma partito a cui si punta.
E nemmeno perché in non pochi commentatori della politica italiana, fra cui ultimamente sul Venerdì di Repubblica un Curzio Maltese in gran forma, a cui aggiungo pure me stesso, si sia fatta strada l'impressione che i bersaniani mirino a ricostruire un novello Pci, o se vogliamo essere meno critici, una riedizione dei Ds. Poiché, tutto sommato, quello che importa non sono le ipotetiche intenzioni di una corrente, ma gli atti del partito e del suo leader, che per ora non hanno fatto accelerazioni in quella direzione.
Quanto piuttosto perché negli ultimi mesi al comando del Pd sono state le truppe di Bersani e di democrazia interna come la intendo io, ad esempio introducendo anche parzialmente il meccanismo delle preferenze nelle liste di appoggio alle varie candidature e mozioni per entrare negli organi assembleari del partito, si è continuato a non vederne traccia come ai tempi di Veltroni, nonostante il tanto parlare di partito solido e ruolo degli iscritti e compagnia bella.

Ma non è una scommessa facile, perché certe scelte di uomini da parte di Renzi non mi convincono proprio. A cominciare dall'ultima, se vera, attribuitagli oggi dal Corriere Fiorentino: quella di un giovane di 26 anni come candidato alla segreteria del Pd, non si capisce se metropolitana o comunale. Il machiavellismo, per me, deve avere dei limiti.
Da non trascurare poi l'eventualità, assai probabile, che nessuno dei due schieramenti offra nulla di concreto sul piatto della democrazia interna.
A quel punto, il mio prendere posizione per l'uno o per l'altro di essi dipenderà dalle "altre condizioni", vale a dire dai contenuti programmatici.
Ma confesso che il mio entusiasmo di iscritto si affievolirebbe molto e comincerei a riflettere sul fatto che forse la mia scelta iniziale, spiegata nel primo post di questo blog, di iscrivermi al Pd sia stata frutto di una speranza con sempre minori chance di realizzarsi, anche in un futuro lontano.
In ogni caso, finché non nasceranno partiti di centrosinistra più avanzati sul piano della democrazia interna reale, non ci sarà il "pericolo" di un mio cambio di partito. Al limite, potrei segnalare la mia insoddisfazione evitando il prossimo anno di rifare la tessera. Argomento, quello del tesseramento, che d'altra parte non sembra interessare molto all'attuale dirigenza del Pd, almeno a livello locale, che anzi sembra evitare campagne di allargamento degli iscritti pur di schivare il rischio (ma sarebbe meglio chiamarla ossessione) di tesserati non desiderati o fuori dai giri dei "nostri", come direbbe Bersani senza specificare a chi alluda con quel noi.
Questa situazione è un peccato perché la democrazia interna reale, combinata con alcune giuste indicazioni di Renzi su come replicare a Berlusconi e di Federico Gelli sul tema della legalità oppure di Rossi sull'imparzialità delle amministrazioni pubbliche e sulla giustizia sociale, potrebbe far recuperare al Pd un bel po' di voti finiti nell'astensionismo, ai grillini o all'Idv.

Lorenzo Sandiford