domenica 25 ottobre 2009

tappa congressuale n. 2: chi ho votato e perché

Preferisco dichiarare pubblicamente chi ho votato alle primarie di oggi prima di conoscerne l'esito.

Ebbene, a livello nazionale, nonostante gli errori madornali di Franceschini delle ultime giornate, su cui ha già detto quasi tutto il 23 ottobre scorso su La Stampa Massimo Gramellini col suo Buongiorno intitolato "I vice del vice", ho deciso di votarlo tramite la lista 'semplicemente democratici'.
Neanche Franceschini ha secondo me serie possibilità di portare il Pd ai risultati elettorali che sarebbero necessari, ma la sua mozione è quella che mi sembra più utile alla causa del mantenimento in vita del partito democratico, in attesa di tempi migliori. A meno che il centro-destra e in particolare il Pdl non faccia harakiri. In ogni caso, chiunque vinca fra Bersani, Franceschini e Marino mi sta bene: queste sono le regole della democrazia interna. E devo ammettere che mi ha sorpreso positivamente la campagna dell'outsider Marino, che ha dimostrato idee nonché capacità dialettiche e comunicative superiori a quelle che mi aspettavo, anche se continuo a non avere troppa fiducia nella solidità della sua squadra.

A livello regionale, attenendomi così ancora una volta allo schema di votazione disgiunta della prima tappa, ho optato per Andrea Manciulli attraverso la lista 'Democratici made in Toscana', nella quale del resto ero inserito nel Collegio 2 - Firenze Città, sia pure al sestultimo posto e dunque senza chance alcuna di entrare nell'assemblea regionale. Manciulli mi sembra il candidato migliore dei tre: quello che può portare il Pd regionale a risultati elettorali migliori in futuro. Anche se pure gli altri due, Siliani e Fragai, potrebbero condurre bene il partito.

Adesso non resta che attendere l'esito delle urne.

Lorenzo Sandiford

cosa penso di D'Alema (con i se e con i ma)

Qual è la mia opinione su Massimo D'Alema? La risposta più sintetica che mi viene in mente è il seguente, semplicissimo, test immaginario:
Se mi fosse miracolosamente concessa la facoltà di nominare il prossimo presidente del consiglio, per ora, almeno fra i politici del centro-sinistra, sceglierei D'Alema, perché penso che governerebbe meglio degli altri.
Se avessi la facoltà, invece, di nominare il prossimo candidato premier del centro-sinistra, non lo sceglierei, perché penso che alle elezioni prenderebbe meno voti di quanti potrebbero prenderne altri esponenti del centro-sinistra, anche se non vedo al momento alternative particolarmente convincenti.
Se mi fosse data, infine, la facoltà di nominare il prossimo segretario del partito democratico, di nuovo non lo sceglierei, sia per ragioni d'insufficiente appeal elettorale sia perché mi sembra avere una concezione del partito troppo verticistica e manovriera.
Arricchisco la risposta con qualche integrazione. Primo, se si dovessero prendere in considerazione anche esponenti "tecnici", sarei un po' più incerto nella scelta del presidente del consiglio da nominare, perché non mi dispiacerebbero neanche Draghi e Passera (ammesso e non concesso che costoro fossero interessati). Secondo, siccome non è detto che la mia opinione circa l'insufficiente appeal elettorale di D'Alema sia giusta, sarei favorevolissimo alla sua partecipazione a primarie sia come candidato premier che come candidato segretario di partito e altrettanto favorevolmente accetterei una sua eventuale vittoria.

Questa valutazione, astratta e fuori tempo, mi è tornata alla mente dopo aver letto, il 13 ottobre scorso su Qn - La Nazione, un articolo di Andrea Cangini su Massimo D'Alema e in particolare il virgolettato attribuito a Emanuele Macaluso. Macaluso fa un ritratto molto critico di D'Alema, sostenendo che pur essendo costui il più intelligente del suo schieramento finisce per non azzeccarne mai una, forse proprio perché "sopravvaluta la propria intelligenza e sottovaluta quella altrui". E fa alcuni esempi di fallimenti politici del leader maximo, fra cui la Bicamerale e l'affossamento dell'Ulivo. Tutto ciò per arrivare alla conclusione che per Bersani sarebbe meglio distanziarsi il più possibile da D'Alema.
Ora, pur avendo deciso di votare Franceschini nelle primarie di oggi a livello nazionale e non essendo quindi certamente catalogabile come dalemiano, trovo del tutto lacunosa e quindi sbagliata la valutazione di Macaluso (e diversi altri).

Dirò in breve perché e nel fare questo spiegherò anche il motivo per cui ho fiducia in lui come uomo di governo (nel senso di "al governo") pur non avendone molta in lui come candidato ad alcunché (e quindi come uomo politico a 360 gradi).
In realtà, credo che l'intelligenza politica di D'Alema non sia affatto virtuale e che (se la mia memoria non incorre in errori) si sia invece manifestata concretamente in diverse occasioni: dal modo in cui contribuì alla caduta del primo governo Berlusconi negli anni '90 sfruttando i problemi di costui con la Lega Nord e portando Dini nel campo del centrosinistra; all'efficace blitz con cui propose la candidatura di Prodi, che aveva appena finito la sua prima esperienza di governo, alla presidenza della Commissione europea senza dare il tempo ad altri di fare candidature alternative e contribuendo così in maniera decisiva al successo della medesima; a diverse azioni di diplomazia internazionale quali il contributo fondamentale alla risoluzione del caso Baraldini e, come ministro degli esteri nell'ultimo governo Prodi, la creazione di forze di interposizione ai confini del Libano.
Inoltre, come mi è già capitato di sostenere anni fa in un forum del sito web di Repubblica, anche molti dei suoi cosiddetti errori, se analizzati meglio, non lo sono affatto. Almeno dal punto di vista della sua carriera politica, anche se in effetti non sono state le scelte migliori per il bene comune del centro-sinistra. In questa categoria ho sempre classificato, ad esempio, sia la Bicamerale che la Cosa 2, giudicando negativamente per le sorti del centro-sinistra soprattutto la seconda (per ragioni che ora non sto a ritirar fuori). E vi annovero, adesso, il suo tentativo di ridisegnare l'assetto del partito democratico. Tutti e tre esempi di operazioni politiche molto intelligenti ed efficaci per non far perdere un ruolo di primo piano nei giochi politici del Paese a D'Alema in momenti in cui rischiava di essere messo in disparte (anche a causa dello scarso consenso elettorale che ha sempre avuto, in parte per antipatia personale in parte per i rapporti difficili con la stampa). E, sottolineo, esempi di operazioni il cui possibile esito negativo o comunque non positivo per il centro-sinistra erano, a mio parere, ampiamente previsti e messi in conto da D'Alema stesso e il suo entourage.
Alla luce di ciò, D'Alema di errori ne ha commessi molti meno di quanti pensano Macaluso ed altri e si è dimostrato un ottimo politico. Un politico forse nocivo per il centro-sinistra quando non è stato al governo, ma comunque in grado di restare a galla in condizioni quasi proibitive. Anzi, si potrebbe dire che D'Alema rappresenta un problema per il centro-sinistra proprio in quanto troppo bravo. Nel senso che uno così quando è al potere è utilissimo ed efficacissimo, ma quando non ha cariche istituzionali diventa nocivo perché pur di riprendersele è capace di inventare di tutto con successo anche senza un ampio supporto degli elettori.

E' curioso notare che anche l'altro big del partito democratico, Walter Veltroni, che negli anni '90 era sempre stato ai miei occhi dalla "parte giusta" per il bene del centrosinistra in contrapposizione a D'Alema, abbia finito per fare operazioni simili durante l'ultimo governo Prodi: operazioni forse necessarie a lui personalmente, ma negative per il centrosinistra e per il governo Prodi in quel momento, che infatti è caduto anche a causa di queste. A dire il vero, a differenza di D'Alema, Veltroni qualche alternativa l'aveva, perché poteva essere più attendista durante il Governo Prodi senza compromettere la carriera personale (anche se la disastrosa terapia shock di Prodi, cioè l'assenza di gradualismo riformatore, con Visco e Bersani scatenati contro alcune categorie economiche lo stava mettendo a dura prova). Si trattava di attendere un po' di tempo in più facendo durare ancora la presidenza Prodi (magari prendendone un po' le distanze), senza mettersi a dialogare con Berlusconi (proprio quando era in drammatica crisi con gli alleati) in vista della costruzione di un sistema bipartitico funzionale alla sua idea di partito democratico, ma che significava la soppressione del partito di Mastella e di altri alleati al governo insieme a Prodi. E' anche per questo che ormai, anche se mi sono sempre piaciute le idee di Veltroni sul Pd e su molti temi, lo considero un politico meno bravo di D'Alema. La sua incapacità organizzativa e nella scelta degli uomini su cui puntare ha fatto il resto. Applicando al solito principi di carità ermeneutica, non escludo, comunque, che dietro a questi piccoli errori di Veltroni ci siano delle scusanti di carattere privato. Probabilmente aveva voglia di chiudere in fretta il capitolo "politica" e di dedicarsi alla sua nuova passione: la scrittura e la creazione artistica.

Ho voluto scrivere queste righe prima dell'esito delle primarie, perché in relazione a certi risultati, esse potrebbero sembrare poco eleganti.

Lorenzo Sandiford

mercoledì 7 ottobre 2009

tappa congressuale n. 1: chi ho votato e perché

Esterno solo ora il mio voto nella prima tappa congressuale, al circolo di Firenze Oltrarno - San Niccolò dove sono iscritto, e le sue motivazioni, perché non volevo influenzare nessuno.. :-))

A parte gli scherzi, di cui mi scuso con gli eventuali lettori, prima del voto, avevo molte incertezze.
Le tre mozioni e i tre candidati a livello nazionale - Bersani, Franceschini, Marino - non mi appassionavano, pur trattandosi di persone senz'altro capaci. In Toscana le cose andavano un po' meglio, anche in relazione all'avversario, ma pure qui senza eccessivi motivi di entusiasmo sul piano dell'innovazione.
Quale idea di partito, a grandi linee e con in mente alcune correzioni, preferivo quella di Veltroni-Franceschini. Tuttavia, come squadra e qualità degli uomini, soprattutto a livello locale (regionale, provinciale e comunale), mi pareva più completa e meglio attrezzata quella di Bersani-Manciulli, oltre che leggermente più affine a me in relazione a certi aspetti dello stare al mondo: meno snobismo radical chic e meno smanie vippistiche. Infine, nella mozione Marino apprezzavo lo spirito un po' più innovativo e la promessa di maggiore impegno sul terreno della meritocrazia e forse anche su quello ambientale, anche se non mi convincevano certe trovate comunicative troppo demagogiche e l'impressione di una scarsa solidità ed esperienza dell'entourage.

Alla fine e dopo tanti dubbi, compresa la tentazione di lasciare le schede bianche, ho deciso di seguire la strada battuta in Toscana da un non trascurabile gruppetto di persone: il voto disgiunto. Pertanto ho votato il candidato bersaniano in Regione, Andrea Manciulli, e Franceschini a livello nazionale.
Alla base di questa scelta, convinta ma senza grande entusiasmo, ci sono vari motivi. A cominciare dal fatto che la mozione Franceschini mi sembra avere una concezione del partito più simile alla mia, nella quale non deve essere abbandonata l'idea del doppio livello di votazione: quello degli iscritti e quello degli elettori. Anche se, molto probabilmente, il meccanismo e la ripartizione dei compiti fra i due livelli andrà rivisto, anche in relazione all'evoluzione dello scenario politico e al peso assunto dalle primarie di coalizione nella selezione dei candidati sindaci, presidenti di provincia e regione o premier. Dico "mi sembra" perché in effetti nei testi delle mozioni le idee di organizzazione interna del partito sono solo accennate e non effettivamente esplicitate.
Altro motivo di questa scelta è il tentativo di rompere i tre fronti, di renderli meno contrapposti, comunicando l'idea che non ci siano divaricazioni così drammatiche all'interno del partito, ma che la scelta di una mozione o dell'altra possa dipendere anche da semplici sfumature politiche o preferenze personali.
Però, in ultima analisi, decisiva per la mia scelta è stata la sensazione che Franceschini leader del Pd possa portare un po' di voti in più a livello nazionale, andando a raccogliere qualche voto anche nei settori dove Bersani non mi sembra molto amato, in particolare fra i liberi professionisti e i lavoratori autonomi. Senza questa capacità di penetrazione (magari anche limitata) oltre la sfera dei lavoratori dipendenti, il progetto di un partito democratico in grado di rappresentare tutte le voci della società fallirebbe. E a quel punto temo che a tirare le fila della politica italiana sarebbero di nuovo i centristi (dell'Udc o, chissà, di Montezemolo), mandando all'aria l'assetto bipolare che consente ai cittadini se non altro di scegliere da chi essere governati, senza vederselo imporre dai piani alti della casta politica come accadeva nella prima Repubblica.

Lorenzo Sandiford