domenica 31 ottobre 2010

congressi a Firenze: dichiarazione di voto

I congressi del Pd a Firenze sono terminati già da una settimana. Ma preferisco spenderci sopra altre due righe, dichiarando i miei voti: un po' per non dimenticare i passi che compio, come si addice a ogni buon diario di bordo; un po' per motivi di trasparenza nei confronti di chi mi sta intorno.

Ecco dunque i miei voti.
Nel Circolo Oltrarno - S. Niccolò il voto è stato semplice, perché c'era una candidatura unitaria: Marco Massetti. Farò parte anch'io del direttivo del Circolo.
Per la segreteria cittadina ho votato Giacomo Trallori (Il partito per la città), che è risultato terzo con il 19,5% dei voti e ha ottenuto 33 seggi. Inoltre, siccome ero stato messo in cima alla sua lista di appoggio nel mio Circolo, in cui la sua candidatura si è piazzata al secondo posto, sono riuscito ad entrare nell'assemblea dei delegati del Pd comunale. Che avrà come nuova segretaria Lorenza Giani (Il Pd è il futuro del Paese), che ha ottenuto il 58,24% dei voti e 98 seggi, mentre secondo si è piazzato Francesco Piccione (Io e te: rinnoviamo il Pd) con il 22,23% e 38 seggi.
Infine, al livello metropolitano, dopo essere stato tentato di votare Patrizio Mecacci, che poi ha vinto, alla fine ho deciso di astenermi, o meglio di lasciare la scheda bianca.

Come mai queste scelte?

Sull'ultima, cioè la decisione di non votare nessuno fra Mecacci e il suo avversario, il segretario uscente Simone Naldoni, potrei cavarmela con una battuta: perché erano -2 a -2. Infatti, oltre agli autogol già segnalati in un post precedente di questo blog, non mi hanno convinto di meritarsi il voto durante un interessante dibattito precedente al giorno della votazione nel mio circolo. Mecacci perché non ha saputo spiegare in maniera chiara quali erano le sue obiezioni alla gestione Naldoni e cosa voleva fare di diverso rispetto al suo predecessore. Naldoni perché ha sostenuto per l'ennesima volta che avrebbe preferito la candidatura unitaria, così impedendo agli iscritti di contare anche nell'unico momento in cui possono far sentire un po' la loro voce, cioè durante la fase congressuale di selezione dei nuovi vertici del partito. In realtà la scelta è stata un po' più complessa e, visto anche che nessuno dei due mi aveva entusiasmato, un po' influenzata dalla volontà di fare gruppo con la squadra di Trallori, che preferiva Naldoni pur senza impormelo.

Pure per la scelta di Giacomo Trallori, come ho già ampiamente scritto nel mio spazio su facebook, potrei iniziare con una provocazione: l'ho votato perché mi ha messo in cima alla lista.
In realtà, anche se ho sostenuto più volte le ragioni di simile approccio al voto in un congresso con queste brutte regole di selezione dei delegati nelle assemblee, le cose sono andate diversamente. Ho saputo della candidatura di Trallori. Sono andato a un incontro di presentazione al circolo di Rifredi, che era quasi deserto, nel corso del quale ho anche detto due parole e ho sentito dire cose che mi hanno convinto. Inoltre mi è piaciuto Trallori come persona. A quel punto mi è stato chiesto se ero disponibile e ho detto di sì, sia pure con molto scetticismo visto che eravamo in quattro gatti. Mi è stato detto che mi avrebbero contattato. Il giorno successivo, se ben ricordo, ho dichiarato su facebook di volerlo votare. Qualche giorno dopo ancora ho saputo che mi metteva in cima alla lista.
Ma, al di là di tutto ciò, la ragione principale per cui l'ho voluto votare è che mi sembrava essenziale salvaguardare l'esistenza all'interno del Pd di anime, come quella rappresentata dall'area Marino e altre più di livello locale, che rischiavano di scomparire. Credo infatti che il Pd debba essere ben diversificato e plurale se vuole migliorare i propri risultati elettorali. Deve essere un partito nei cui organi assembleari siano presenti esponenti in grado di rappresentare tutte le sensibilità del proprio bacino elettorale potenziale, così da non perdere voti a vantaggio di Idv, grillini, Sel e astensionismo. Senza queste anime negli organi di partito è impossibile al momento di elaborare il programma fare una sintesi che tenga conto anche delle loro istanze e risulti convincente in tutto lo spettro dell'elettorato di centro-sinistra.

sabato 9 ottobre 2010

i candidati dei congressi a Firenze

Ho deciso solo qualche ora fa quale candidato alla segreteria comunale voterò il 16 ottobre al congresso: Giacomo Trallori. Argomenterò la mia scelta in una prossima puntata di questo blog.
Non ho ancora deciso invece per chi voterò alla segreteria metropolitana.

In ogni caso, per ora ora, mi limito ad esporre in questo post i link alle pagine del Pd di Firenze dove si trovano i programmi dei vari candidati, perché voglio promuovere nel mio piccolo una scelta consapevole da parte degli iscritti.

http://www.pdfi.it/

http://www.pdfirenze.it/joomla15/index.php?option=com_content&view=article&id=1047%3Ai-candidati-alla-segreteria-cittadina&catid=36%3Anotizie-pd-cittadino


Aggiungo anche il collegamento a un post in stile ironico e beffardo di Tracy Tupman del Circolo Pickwick - Nuovo Corriere di Firenze, in cui viene presentata una interpretazione dei tre candidati discutibile (soprattutto quando parla di Trallori) ma interessante e divertente.

http://pickwickfirenze.wordpress.com/2010/10/07/sono-rimasti-in-tre/#comments


Lorenzo Sandiford

lunedì 27 settembre 2010

primo round congressuale fiorentino: -1 a -1

Fra Naldoni e Mecacci un "bel" meno 1 a meno 1.
Il primo round del match congressuale del Pd metropolitano di Firenze, purtroppo combattuto a suon di intervistine sui quotidiani invece che attraverso pubblici dibattiti in cui gli iscritti possano vagliare le capacità dei contendenti, ha visto Simone Naldoni e Patrizio Mecacci finire in parità negativa secondo il mio metro di giudizio.
Dopo aver letto l'Unità Toscana del 26 settembre, assegno loro infatti il punteggio di -1 a -1.
Naldoni ha perso un punto ai miei occhi per aver detto che Mecacci non è una faccia nuova ma anzi già esperto, tirandosi così la zappa sui piedi e contraddicendo chi come me ne metteva in dubbio la nomina proprio sul piano dell'insufficiente esperienza e autorevolezza. Resto, comunque, di quest'ultima opinione e penso che Mecacci rischia di essere ancor più di altri possibili esponenti del partito, per ragioni anagrafiche, il pupazzo di qualche caminetto oscuro ai più. Certo se il suo avversario Naldoni fa di questi autogol non è che prometta molto meglio.
A Mecacci, invece, tolgo un punto perché ha sostenuto che bisogna abbassare il limite dei mandati parlamentari consentiti ai membri del Pd a due. Perfetto, così avremo tutti rappresentanti inesperti che si faranno infinocchiare quotidianamente da quelli dello schieramento avversario.
Davvero un bell'inizio, non c'è che dire.
Al prossimo faccia a faccia cartaceo!

Lorenzo Sandiford

venerdì 10 settembre 2010

quali primarie per presidenti di governi e giunte

Primarie di coalizione con la possibilità di più candidati del Pd e confronto fra rose di 2-5 elementi dei futuri governi o giunte. Mentre nei contesti in cui il Pd può correre da solo due possibilità a disposizione: i) la candidatura del segretario del Pd oppure ii) primarie aperte anche ai simpatizzanti.

E' la proposta di modifica dello Statuto del Pd che lancio in relazione alle modalità di scelta dei candidati alla guida degli esecutivi dei diversi livelli territoriali: candidati a presidente del consiglio, presidente di Regione o di Provincia e Sindaco.
Con la caduta nei numeri della vocazione maggioritaria generalizzata del Pd, il modello pensato da Veltroni con il segretario - candidato premier naturale (e con un governo ombra ecc. ecc.) è andato in frantumi. E' stranamente rimasta però, nonostante il tanto parlare dei bersaniani dell'obiettivo di un partito solido, propositivo e non succube degli amministratori-governanti, una impostazione contraria a tale obiettivo, sia con il sostegno alla candidatura naturale dei segretari sia di fatto non facendo nulla per allargare la platea degli iscritti (e un partito che non cerca nuovi iscritti, magari per paura di sconvolgere gli attuali equilibri di forze, non ha grandi prospettive, secondo me).

Questa situazione anomala può essere risolta con una correzione dello Statuto tale da prevedere le seguenti due modalità di selezione dei candidati premier (o presidenti o sindaci):

1) nei contesti "a vocazione maggioritaria", cioè dove il Pd può presentarsi alle elezioni davvero da solo, ci sono due possibilità: il candidato premier può essere (a seconda della situazione e in base a quanto deciso dall'assemblea dei delegati) o (i) il segretario del Pd del livello territoriale corrispondente oppure (ii) la persona scelta tramite primarie di partito con più candidati aperte ai simpatizzanti.
Il presupposto è però che i segretari dei vari livelli territoriali siano scelti con congressi molto più trasparenti e intelligenti di quelle attuali, perché se per caso fossero scelti come sembra dai giornali stia succedendo adesso a Firenze si rischierebbe addirittura di perdere le elezioni con un segretario candidato di quel tipo;

2) nei contesti in cui sono necessarie alleanze elettorali con altri partiti, invece, il candidato non può essere che scelto attraverso primarie di coalizione aperte ai simpatizzanti. E queste primarie di coalizione, per non trasformarsi in meccanismi sfascia coalizione, andrebbero fatte nel seguente modo: 2.a) si votano non solo i candidati presidenti, ma dei ticket di 2-5 elementi del futuro esecutivo (presidente, vicepresidente, e qualche ministro/assessore caratterizzante); 2.b) il candidato presidente non deve essere per forza il leader di un partito e anzi ci possono essere più candidati per ogni partito (ovviamente la cosa riguarderà, eventualmente, di fatto solo il partito maggiore).
Inutile dire che questa soluzione 2 non potrebbe essere però scritta nello statuto, se non al massimo come impegno a proporla agli alleati, perché dipenderà anche dalla volontà di costoro.
Primarie di coalizione fatte in questo modo hanno due vantaggi: x) consentono alla gente di scegliere anche una fetta consistente dell'esecutivo; y) non dovrebbero provocare lacerazioni perché condurrebbero ad alleanze interpartitiche.

Lorenzo Sandiford

martedì 7 settembre 2010

querelle Civati-Renzi vs. Bersani-Rossi: con chi mi schiererò

Ceteris paribus, fra Civati-Renzi e Bersani-Rossi, al momento opportuno, mi schiererò con chi mi offre una ricetta più sostanziosa e credibile sul piatto della democrazia interna.
L'ho già scritto anche su questo poco usato blog e lo ripeto: la considero una questione fondamentale per il centrosinistra italiano.
Anzi, proprio per questo, la specificazione "a parità di altre condizioni" è fin troppo prudenziale. Potrei sacrificare sull'altare di tale passaggio democratico interno anche qualche pezzetto di programma, che so, un po' di ambientalismo o di libertarismo o di gradualismo riformatore o di proporzionalità fiscale o di promozione del merito.
Naturalmente, senza esagerare. Se, faccio un esempio paradossale, Pierluigi Bersani ed Enrico Rossi mi garantissero più democrazia interna, ma progettassero di trasformare la Toscana in un'unica grande area metropolitana senza campagne, cementificando tutta la Maremma e la Val d'Orcia, ovviamente sarei costretto ad accantonare per un po' la battaglia per la democrazia interna e schierarmi con gli altri. Oppure, se Giuseppe Civati e Matteo Renzi mi offrissero proposte di modifiche statutarie più convincenti per aprire le porte agli iscritti non cooptati, ma il secondo dei due mi volesse scavare sotto il centro storico di Firenze per farci passare una metropolitana, allora per forza di cose dovrei stare con i suoi oppositori.

Chiarito questo, con chi finirò per schierarmi? Se proprio fossi obbligato a scommettere, punterei sulla coppia Civati-Renzi.
Non tanto perché è Renzi ad aver coniato (o per lo meno divulgato) il termine Pdpd (Partito democratico per davvero). Finora, infatti, allo slogan non è seguita nessuna elaborazione di regole statutarie ad hoc e nemmeno di analisi sulla forma partito a cui si punta.
E nemmeno perché in non pochi commentatori della politica italiana, fra cui ultimamente sul Venerdì di Repubblica un Curzio Maltese in gran forma, a cui aggiungo pure me stesso, si sia fatta strada l'impressione che i bersaniani mirino a ricostruire un novello Pci, o se vogliamo essere meno critici, una riedizione dei Ds. Poiché, tutto sommato, quello che importa non sono le ipotetiche intenzioni di una corrente, ma gli atti del partito e del suo leader, che per ora non hanno fatto accelerazioni in quella direzione.
Quanto piuttosto perché negli ultimi mesi al comando del Pd sono state le truppe di Bersani e di democrazia interna come la intendo io, ad esempio introducendo anche parzialmente il meccanismo delle preferenze nelle liste di appoggio alle varie candidature e mozioni per entrare negli organi assembleari del partito, si è continuato a non vederne traccia come ai tempi di Veltroni, nonostante il tanto parlare di partito solido e ruolo degli iscritti e compagnia bella.

Ma non è una scommessa facile, perché certe scelte di uomini da parte di Renzi non mi convincono proprio. A cominciare dall'ultima, se vera, attribuitagli oggi dal Corriere Fiorentino: quella di un giovane di 26 anni come candidato alla segreteria del Pd, non si capisce se metropolitana o comunale. Il machiavellismo, per me, deve avere dei limiti.
Da non trascurare poi l'eventualità, assai probabile, che nessuno dei due schieramenti offra nulla di concreto sul piatto della democrazia interna.
A quel punto, il mio prendere posizione per l'uno o per l'altro di essi dipenderà dalle "altre condizioni", vale a dire dai contenuti programmatici.
Ma confesso che il mio entusiasmo di iscritto si affievolirebbe molto e comincerei a riflettere sul fatto che forse la mia scelta iniziale, spiegata nel primo post di questo blog, di iscrivermi al Pd sia stata frutto di una speranza con sempre minori chance di realizzarsi, anche in un futuro lontano.
In ogni caso, finché non nasceranno partiti di centrosinistra più avanzati sul piano della democrazia interna reale, non ci sarà il "pericolo" di un mio cambio di partito. Al limite, potrei segnalare la mia insoddisfazione evitando il prossimo anno di rifare la tessera. Argomento, quello del tesseramento, che d'altra parte non sembra interessare molto all'attuale dirigenza del Pd, almeno a livello locale, che anzi sembra evitare campagne di allargamento degli iscritti pur di schivare il rischio (ma sarebbe meglio chiamarla ossessione) di tesserati non desiderati o fuori dai giri dei "nostri", come direbbe Bersani senza specificare a chi alluda con quel noi.
Questa situazione è un peccato perché la democrazia interna reale, combinata con alcune giuste indicazioni di Renzi su come replicare a Berlusconi e di Federico Gelli sul tema della legalità oppure di Rossi sull'imparzialità delle amministrazioni pubbliche e sulla giustizia sociale, potrebbe far recuperare al Pd un bel po' di voti finiti nell'astensionismo, ai grillini o all'Idv.

Lorenzo Sandiford

venerdì 26 febbraio 2010

per un ambientalismo gradualista e una democrazia interna temperata

Che spazio ci sarà, all'interno del Pd, per un ambientalismo gradualista e una democrazia interna temperata? E chi saranno gli esponenti del partito con cui interloquire per chi, come il sottoscritto, terrà in debito (ma non esclusivo) conto tali parole d'ordine?
A livello nazionale non l'ho ancora capito. Marino prometteva bene, ma dai suoi seguaci toscani non mi sembrano arrivare messaggi del tutto coerenti con le affermazioni di principio del leader. Rutelli non c'è più. Realacci non mi convince sul fronte della difesa della bellezza del paesaggio (vedi ad esempio le insufficienti limitazioni all'uso delle pale eoliche) e perché troppo morbido con le altre anime del Pd. Insomma, io semplice iscritto, nel Pd centrale vedo un buio pesto.
Non diversamente vanno le cose qui in Toscana. Rimanderò esempi e temi polemici a dopo le elezioni regionali, anche perché il centrodestra è peggio ancora su entrambe le tematiche. Mi limito per ora ad osservare che l'interlocutore più credibile nel Pd locale sotto questo doppio profilo è il sindaco di Firenze, Matteo Renzi.
La sua posizione sulla pedonalizzazione di piazza Duomo e soprattutto sul piano strutturale, con l'annuncio di zero aumenti dei volumi edificabili, rappresentano quanto di meglio ci si potesse aspettare sul fronte ambientale in città, in un partito decisamente influenzato dai costruttori. E Renzi dovrà lottare strenuamente per portare a casa i suoi obiettivi senza essere schiacciato dal Pd locale. Ma almeno ci sta provando.
Sul capitolo democrazia interna non si è ancora pronunciato puntualmente, salvo confermare il principio-slogan del "Pdpd" (Partito democratico per davvero), che sottoscrivo ma è ovviamente insufficiente. Anche se, dalla sua, c'è il fatto di essersi battuto alle primarie fiorentine contro quella parte del partito che voleva inizialmente evitarle.
Vedremo.

Intanto, in attesa di altri leader nazionali interessati a questi temi, mi limito a delineare in poche parole perché ho aggiunto "gradualista" ad ambientalismo e "temperata" a democrazia interna. Dal momento che in effetti avrei potuto accontentarmi di "ambientalismo" e "democrazia interna": ideali che mi appartengono da diversi anni.
Il motivo è duplice. Da una parte quelle espressioni descrivono meglio la mia posizione effettiva. Visto che di ambientalismi possibili, fra apocalittici per il ritorno allo stato di natura rousseauiano ed integrati pro cure infrastrutturali d'ogni sorta, ce ne sono diversi. Dall'altra c'è una ragione di tipo tattico: in un partito come il Pd di oggi parlare di ambientalismo e di democrazia interna sic et simpliciter significa scatenare il riflesso condizionato di tanti esponenti di vertice. Che al solo sentire tali parole si immaginano chissà quali posizioni di ecologismo retrogrado e di democrazia assembleare anarcoide.

E invece per me "ambientalismo gradualista", sulla falsariga del mio "riformismo gradualista", equivale semplicemente ad un ambientalismo che non vuole strafare, che non procede a scatti ma pianificando, che punta solo (o almeno prima di tutto) alle costruzioni che servono davvero, che introduce nuove forme di produzione energetica con un occhio di estremo riguardo per la bellezza del paesaggio italiano (scegliendo per esempio accuratamente dove si possono posizionare le pale eoliche e i rigassificatori), che lotta prima contro l'uso dell'auto per andare a lavoro (e per la riconversione verso modelli ecologici) che contro il possesso da parte anche dei meno abbienti di questo strumento di libertà per il tempo libero attraverso il nostro splendido territorio.
Altrettanto semplice è il senso che do all'etichetta "democrazia interna temperata". E' una visione del partito anti-verticistica in cui tutti possono emergere e non solo quelli decisi dall'alto quasi fossimo in un esercito (come è stato finora anche nell'impostazione veltroniana, in questo senso ancorata al passato).
Un partito dunque con democrazia interna reale, che non vuol dire rinunciare a una cabina di comando, ma permettere che ad essa, tramite appropriati meccanismi di formazione delle assemblee e degli organi di partito, possano accedere anche (almeno in certa percentuale) degli outsider non cooptati dai vertici.

Sarò il solo a pensarla in questo modo?
Non lo so, ma il mio consenso nel Pd se lo guadagnerà chi si muoverà meglio nelle due direzioni sopra descritte: ambientalismo gradualista e democrazia interna temperata.

Lorenzo Sandiford

mercoledì 13 gennaio 2010

da fan della Lorenzetti dico no al terzo mandato

Come testimoniato dal post del 15 luglio 2009 su questo blog, sono un vero e proprio fan di Rita Lorenzetti. Dirò di più: la considero la migliore politica italiana (anche se devo ammettere che questo mio giudizio non è suffragato da una conoscenza sufficientemente solida).
Nonostante ciò, sono fermamente contrario alla sua ricandidatura alla presidenza dell'Umbria. Quando si parla di terzo mandato, ai miei occhi, si fuoriesce dai confini naturali di una democrazia sana per avventurarsi nei territori incerti della post-democrazia, di una democrazia sempre meno sostanziale.
Preferisco lasciare al centro-destra mostruosità come un eventuale quarto mandato di Formigoni (ma a dire il vero, preferirei che fossero vietate dalla legge) o agli Stati Uniti mostruosità come la recente rielezione multimilionaria di Bloomberg a New York (ma a dire il vero, noi abbiamo il presidente del consiglio con il più grande conflitto d'interessi dell'universo).
Bè, lasciamo perdere. Il partito democratico deve essere un'altra cosa: un soggetto che contribuisce al corretto funzionamento della democrazia italiana. Senza tentazioni moralistiche, ma con un occhio attento al rapporto fra cittadini ed eletti e nominati e dirigenti di partito.

Lorenzo Sandiford